di Fiorenzo Girotti
Domani, venerdì 28 aprile, la Sezione Anpi di Torino "Renato Martorelli" conclude le manifestazioni di aprile con un incontro dalle 11 alle 13 tra gli studenti del Liceo "G. Bruno" via Marinuzzi 1, )e il prof. Claudio Dellavalle, già presidente di Istoreto. La relazione di Dellavalle avrà la sua centralità su "Torino, marzo 1943. Lavoro e fabbrica in tempo di guerra". Sul tema, un articolo di Fiorenzo Girotti.
Nel marzo del 1943 si manifesta con tutta evidenza un intenso ciclo di lotte e di scioperi che precedono di diversi mesi il pieno dispiegamento della lotta armata. Fin dagli anni Trenta, il fascismo aveva esercitato un crescente sfruttamento del lavoro salariato, ma aveva anche attivato alcune misure di protezione, soprattutto previdenziale, che si sarebbero comunque rivelate incapaci di capitalizzare durature riserve di consenso. Ad ogni qual modo è negli anni della guerra che le condizioni di vita e di lavoro si deteriorano a tal punto da superare ogni soglia di tollerabilità. Così da indurre a ribellioni, scioperi e manifestazioni di protesta non solo nei grandi stabilimenti, ma anche nelle unità produttive minori; non solo nelle grandi città, ma anche nei contesti più decentrati. Dal data base, attualmente on line, costruito dal gruppo di ricerca che ha realizzato l’Annale 2015 della Fondazione Giuseppe Di Vittorio, sotto la direzione del professore Claudio Dellavalle, risultano censiti 2400 episodi di sciopero nel triangolo industriale tra il 1943 e il 1945. Ne furono protagonisti poco più di 200.000 lavoratori, un numero non dissimile da quello dei partigiani in armi alla vigilia dell’insurrezione.
Scioperi e manifestazioni operaie erano eventi del tutto inattesi, che suscitavano grande allarme non solo al vertice del regime fascista, ma anche o ancor più a Berlino e negli alti comandi tedeschi. Perché questi lavoratori lottavano contro le 12 ore, chiedevano pane e maggiori razioni alimentari, e tutti a gran voce invocavano la fine della guerra.
Queste lotte, che fanno della resistenza italiana un’esperienza unica e originale nel quadro della resistenza europea, permisero di spuntare un miglioramento delle condizioni di lavoro e pur minimi incrementi salariali, tali però da garantire condizioni di sopravvivenza alle famiglie operaie. Un esito non meno importante di queste lotte, alla fine dei 45 giorni del governo Badoglio, fu però anche l’istituzione delle Commissioni interne, con cui ebbe inizio un primo riconoscimento di rappresentanze operaie non più esclusivamente nominate e sottoposte al diretto controllo del partito fascista.
Con l’intensificarsi dei bombardamenti alleati, anche sotto l’occupazione tedesca, le dirigenze industriali sono ormai costrette ad ascoltare le richieste dei propri lavoratori, da cui dipende la continuità delle produzioni belliche nel contesto di una guerra totale che coinvolge ormai indistintamente militarie e civili. Come sottolinea Claudio Dellavalle, è nell’organizzazione di questi scioperi che i lavoratori non solo mettono a frutto un’inedita forza e capacità contrattuale, ma sono indotti a sviluppare un progetto di organizzazione del lavoro, di società e di democrazia che alla fine della guerra avrebbe ridato voce e forza politica a un nuovo movimento operaio.
Dobbiamo allora riconoscere che nel nostro Paese, tra il settembre 1943 e l’aprile 1945, due sono i movimenti resistenziali che mutuamente si sostengono allo scopo di innescare le più elevate capacità di conflitto: quello della lotta armata, nelle sue più diverse idealità e componenti, e quello che, in forme nuove, si sviluppa e mette radici all’interno delle fabbriche.
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